Fantascienza

Fringe | Stagione 1

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A Gay Gay Abrams piace la fantascienza ed è per questo che tutto ciò che fa è fantascienza. Sono proprio tutti contenti quando Gay Gay fa la fantascienza perché lui ha un occhio che signora mia qua una volta era tutto futuro. Ma in un mondo dove c’è gente che ancora crede che la saga di “Star Wars” sia fantascienza e non fantasy, lo sguardo sul futuro di Gay Gay Abrams è una cosa miracolosa che da anni non si vedeva sulla faccia della Terra.

Non stupisce poi molto quindi, la scelta della Fox di porre nelle mani di Gay Gay Abrams (come produttore) e dei fidati Roberto Orci e Alex Kurtzman (come showrunner) la missione di creare il nuovo “X-Files”, serie di culto di metà anni Novanta che vedeva due agenti dell’ FBI indagare su fenomeni paranormali e avvenimenti inspiegabili. Come sono inspiegabili gli avvenimenti che, puntata dopo puntata, si avvicendano in “Fringe”: ma questa volta dietro i fatti misteriosi non si celano né gli alieni né il governo americano, ma la scienza sperimentale e il grande potere delle multinazionali. Ad indagare sui casi impossibili, la detective Olivia Dunham, il suo aiutante un po’ mascalzone Peter Bishop e il padre di quest’ultimo, il professor Walter Bishop, scienziato affermato negli anni Settanta, rinchiuso in un manicomio per quasi vent’anni e ora di nuovo libero, senza memoria e col peso sulla coscienza di scoperte troppo grandi per la piccolezza umana.

Ed è da questi tre personaggi che “Fringe” parte, quasi in sordina e giocando al ribasso. Non si può di certo dire che le prime puntate della serie regalino qualcosa di nuovo e originale: certo, il tutto è ben confezionato e ben raccontato, ma l’originalità sembra stare su un altro pianeta. O forse no. Puntata dopo puntata, “Fringe” ci fa ricredere sul nostro primo e approssimativo giudizio. Se “Lost” ci scaraventava all’interno delle vicende facendoci sin da subito amare od odiare questo o quell’altro personaggio, “Fringe” si svela poco a poco, facendoci sudare l’amore indissolubile che ci legherà ai personaggi e rivelandoci le piene potenzialità della storia solo nel finale di questa prima stagione.

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Di “Fringe” quindi potremmo parlarne facendo luce sugli aspetti prettamente narrativi, oppure analizzando la lettura che la serie fa delle multinazionali e della scienza, ma è forse bene lasciare queste riflessioni a quando avremo una visione più complessiva della serie. Ciò che invece emerge prepotentemente da questi primi ventitré episodi, è la straordinaria capacità di scrittura degli sceneggiatori, non solo per quanto riguarda gli intrecci o la storia, ma soprattutto per la capacità di delineare in modo così preciso e sfaccettato i tre personaggi principali. C’è l’agente Dunham interpretata da Anna Torv, il Peter Bishop che si incarna nei panni di un redivivo Joshua Jackson (il Pacey di “Dawson’s Creek”), ma soprattutto c’è il professor Bishop. È lui il personaggio più complesso e meglio interpretato della serie: John Noble (era Denethor ne “Il Signore degli anelli – Il ritorno del re”) dimostra la sua stoffa di attore costruendo un personaggio dalle molteplici e contraddittorie emozioni, che vanno da uno sguardo quasi infantile sul mondo ad un pressante senso di colpa sul suo oscuro passato, dalla malinconia tipica della vecchiaia al dolore che ha attraversato le sue carni.

Dobbiamo ammetterlo: è difficile vedere (anche sul grande schermo) un’interpretazione così precisa e accurata, capace di emozionarci ad ogni piccola espressione sul suo volto. È per questo che stupisce ancora di più la poca considerazione che la critica americana ha avuto dell’interpretazione di John Noble, passata inosservata anche agli ultimi Emmy Award. Ma, come dicevamo prima, “Fringe” è solo alla sua prima serie e sappiamo che questa era solo un’introduzione. È con la seconda serie che si entra veramente nel gioco, e noi spettatori non vediamo l’ora di giocare.

4 thoughts on “Fringe | Stagione 1

  1. Fringe è una delle fiction che mi ha appassionato di più, fino all’epilogo della quinta stagione. I motivi sono molteplici, fra cui anche la bravura degli attori. E’ vero, John Noble, secondo il mio parere, ha recitato veramente bene e non era semplice interpretare un personaggio così complesso.
    Buona giornata!

    • Peccato che dopo la perfezione della terza stagione si sia inutilmente complicata mancando spesso l’obiettivo (anche se con l’ultima stagione è riuscita spesso a convincermi).

      • In realtà, la terza stagione è stata bella, solo che non sopportavo la Dunham dell’altra realtà. Ehehehe, in pratica provavo un odio profondo per quel personaggio: merito, credo, della bravura di Anna Torv.
        Secondo me, se lo spettatore apprezza i personaggi, gran parte degli episodi, credo sia automatico seguire fino in fondo una fiction a puntate. Le sotto tracce erano anche studiate bene. Anche gli intrecci. Comunque, uno dei punti forti, erano personaggi e attori.

      • Si infatti, “Fringe” al contrario di molte serie si è fatta seguire fino in fondo proprio grazie ai personaggi che spesso e volentieri supplivano alle mancanze della trama (soprattutto nelle ultime due stagioni).
        Oggi manca una bella serie di fantascienza come “Fringe”.

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